Uomini e caporali by Alessandro Leogrande

Uomini e caporali by Alessandro Leogrande

autore:Alessandro Leogrande [Leogrande, Alessandro]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 6bb30a7c288c1507f7b90b974e4e6424e357879e
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2016-07-22T22:00:00+00:00


Appena arrivati a Cerignola, per il riconoscimento del cadavere, Irena e gli altri figli hanno scoperto che il caso era stato archiviato come «morte naturale», che nessuno aveva predisposto un esame autoptico, nonostante i lividi e le ferite presenti sul corpo. Hanno capito che quello di Darek era stato trattato come un caso senza importanza, un caso da sbrigare in tutta fretta per liberare spazio all’obitorio. E lì, in quel momento, davanti al corpo di Darek, è iniziata la loro battaglia per capire come erano andate veramente le cose. Alla sofferenza per la morte di Dariusz si è aggiunta l’indignazione verso l’Italia, verso le autorità di un paese che avrebbe dovuto indagare, ma non indagava.

Quel giorno, dopo essere stati all’obitorio, Irena e gli altri figli sono stati condotti dai carabinieri al casolare dove Darek dormiva, a pochi chilometri da Orta Nova. La porta era divelta, i muri inumiditi. Qua e là c’erano ancora dei materassi mezzi ammuffiti e puzzolenti, cartacce, rifiuti vari, scatolette vuote e arrugginite. In un unico stanzone senza finestre pare che dormissero in otto, uno attaccato all’altro. I porci vivono meglio, hanno pensato Irena e i suoi ragazzi, non credendo ai loro occhi. Non sono riusciti a credere come avesse potuto vivere in quelle condizioni, senza lamentarsi, senza opporsi. E non sono riusciti a comprendere la dinamica della morte. Come mai, si sono chiesti, se Darek alloggiava in quella topaia, il corpo è stato ritrovato in un campo non coltivato a 15 chilometri di distanza? Come ci è finito? L’ha portato lì qualcuno? Hanno pensato che non erano solo i segni sul corpo a non essere «naturali». È il modo, il modo in cui è morto...

Il giorno dopo, il corpo di Dariusz è stato tumulato nel cimitero di Cerignola, poiché la famiglia non aveva denaro a sufficienza per farlo trasportare in Polonia. Ma Irena non si è data per vinta. Dopo essere ritornata in patria, con l’appoggio dell’ambasciata ha chiesto l’esumazione della salma e l’esame autoptico. E ha atteso.

Passa del tempo. Le autorità italiane si rivelano sorde alla sua richiesta ma, diciassette mesi dopo il decesso, nel settembre 2006, il caso viene riaperto da un’emittente televisiva polacca. Sull’onda dello shock prodotto dall’arresto dei caporali, Irena viene intervistata in un programma simile a «Chi l’ha visto», e il suo appello, dopo essere stato tradotto in italiano, finisce nel fascicolo di inchiesta della Dda di Bari. «Mio figlio non è morto. Mio figlio è stato ucciso dalle condizioni in cui viveva» dice davanti alle telecamere.

«Come si può decidere sulla base di un esame esterno che una persona muore per cause naturali? In modo naturale muore un anziano di ottanta, novanta anni. Mio figlio era sano, non era mica malato.»

Eppure nonostante l’eco mediatica, ci vogliono altri sette mesi perché la domanda di Irena venga esaudita. L’esame autoptico viene rinviato di settimana in settimana, in una situazione che, alle autorità polacche, sembra scivolare dal paradosso alla noncuranza, e dalla noncuranza al dipanarsi di chissà quale trama. Alla fine, solo dopo che



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